Pensioni più povere che in passato, e sempre più lontane, per effetto dell’adeguamento all’aspettativa di vita. Gli italiani sono sempre più consapevoli che il futuro previdenziale rischia di essere poco brillante, ma alla maggiore diffusione di questa consapevolezza non corrisponde un’adeguata “corsa ai ripari”, ovvero adesione a soluzioni che consentono di maturare capitali o rendite per integrare la pensione pubblica.
L’anno di COVID ha visto un rallentamento delle adesioni alle soluzioni di previdenza integrativa (fondi negoziali, fondi Inps, fondi aperti, PIP, fondi preesistenti). Nell’ultima relazione1 di ANIA (Associazione Nazionale delle Imprese Assicurative) si evidenzia che nel 2020 sono state 486.522 le nuove adesioni ai fondi di previdenza integrativa, circa 100.000 in meno rispetto a quelle registrate nel 2019.
Altro fenomeno in crescita riguarda il mancato pagamento dei contributi da parte di chi ha aderito a forme di previdenza complementari: nel 2020 si parla di oltre 2,2 milioni di persone, quasi un quarto del totale, che non hanno effettuato i versamenti previsti.
Questi due trend – rallentamento delle adesioni e mancati versamenti di contributi – si inseriscono in un quadro già non particolarmente brillante per quanto riguarda la diffusione della previdenza complementare in Italia.
Pensioni integrative, solo il 14% è coperto
Era stata la riforma Dini delle pensioni, datata 1995, ad introdurre la necessità di incentivare forme di previdenza complementare rispetto a quella pubblica, che potessero coprire il gap tra reddito da lavoro e reddito da pensione.
Con quella riforma, infatti, si diede il via al percorso che avrebbe portato, nel tempo, ad una sensibile riduzione degli importi dei vitalizi, con il passaggio dal metodo di calcolo retributivo, che prevede che l’assegno pensionistico equivalga all’80% del reddito medio degli ultimi 10 anni di lavoro, al metodo di calcolo contributivo, basato esclusivamente sui contributi versati. Quest’ultimo è stato introdotto per sgravare i conti pubblici della spesa pensionistica, attraverso il principio per cui, nel corso della vita lavorativa, ciascuno accantona contributi di cui beneficerà dopo l’uscita dal mondo del lavoro. Questo meccanismo, però, è soggetto all’andamento della carriera: a retribuzioni brillanti corrisponde una pensione brillante, mentre se il percorso lavorativo è stato contrassegnato da retribuzioni basse, interruzioni, periodi di disoccupazione, la pensione ne sarà lo specchio, col rischio di arrivare ad importi pari al 50% del reddito da lavoro.
Per questo, la stessa riforma Dini prevedeva di incrementare l’adesione a forme di previdenza complementare con cui i lavoratori possono costruire una rendita o un capitale per integrare la pensione pubblica.
Per ora, tuttavia, la copertura è ancora contenuta rispetto al potenziale. A fine 2020, risultavano che complessivamente 8,4 milioni di lavoratori avevano aderito a forme di previdenza complementare, pari al 33% dei 25 milioni di italiani che costituiscono la forza lavoro, ovvero occupati o in cerca di occupazione di almeno 15 anni di età.
Nel documento di ANIA “Rimaniamo protetti, allontaniamo i rischi”2, l’associazione dichiara che “andrebbe maggiormente sviluppato e incentivato in Italia il comparto della previdenza privata integrativa, per la quale occorrerebbe favorire ulteriormente le adesioni, informando i cittadini in modo chiaro sulle aspettative di pensione pubblica e rendendo il sistema complementare più aperto e flessibile”.
La percentuale di copertura, del resto, rapportata all’intera popolazione, scende drasticamente al 14% del totale, compresi i più giovani. Non è peregrino indicare anche la fascia dei meno anziani come possibile platea interessata a forme di integrazione pensionistica, perché scegliere di iniziare a pensare al proprio futuro previdenziale sin da giovani si rivela una scelta ottimale, in quanto il maggiore orizzonte temporale consente di massimizzare la gestione del risparmio senza incidere troppo sul bilancio famigliare. La stessa ANIA suggerisce3 che si dovrebbe agevolare la possibilità che genitori e nonni attivino piani di previdenza complementare per figli e nipoti, creando dei “libretti” previdenziali.
Perché gli italiani provvedono poco al futuro previdenziale
La scarsa adesione a forme complementari di previdenza ha motivazioni profonde, che si possono ricondurre in buona sostanza alla storica presenza dello Stato in tutti gli aspetti che riguardano il welfare pubblico.
Lo evidenzia bene il Centro Einaudi nell’ultima Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani4, secondo cui la diffusione di strumenti di previdenza integrativa è positivamente correlata con la pensione pubblica attesa. Storicamente, l’applicazione del calcolo della pensione basato sul metodo retributivo, molto generoso per il lavoratore, ha generato un clima di fiducia ed ottimismo verso il futuro previdenziale, anche alla luce del patto intergenerazionale che è alla base del sistema pensionistico italiano, per cui i lavoratori versano i contributi che servono a pagare le pensioni.
Il consolidamento del metodo contributivo e le dinamiche demografiche che stanno riducendo il numero di lavoratori e facendo incrementare quello dei pensionati hanno scalfito questo ottimismo, anche se le tante opzioni introdotte a livello legislativo, l’ultima delle quali è stata Quota 100, per “calmierare” gli effetti della riforma previdenziale hanno probabilmente rallentato la crescita delle adesioni a forme complementari pensionistiche. Questo spiega perché, nonostante ci sia una maggiore preoccupazione, ancora pochi siano corsi ai ripari.
Di fatto, però, questo trend è destinato a invertirsi. Un segnale è la crescente propensione registrata proprio dal report del Centro Einaudi al risparmio previdenziale. Sempre più italiani, infatti, cercano di accantonare una quota del proprio reddito per destinarla all’età della pensione. Il risparmio previdenziale, in particolare, cresce con l’età e tocca il massimo (31,3%) dei motivi di risparmio nella classe di età immediatamente precedente quella di messa a riposo.
Questa soluzione, tuttavia, rischia di essere poco efficiente, perché senza un’adeguata gestione dei risparmi, il sacrificio di rinunciare ad una parte del reddito potrebbe non essere compensato dall’effettivo raggiungimento dell’obiettivo di ottenere un capitale o una rendita per integrare il vitalizio.
La “terza via” tra forme di previdenza complementare strutturate e risparmio previdenziale è quella offerta dal mercato assicurativo, con soluzioni flessibili di accantonamento e gestione dei risparmi, che possono essere utilizzate in ottica previdenziale.
1. “L’assicurazione italiana 2020 2021”, ANIA
2. “AllontAniamo i rischi. RimAniamo protetti”, ANIA
3. “La previdenza complementare e il valore della garanzia”, ANIA
4. Giuseppe Russo, “Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani”, Centro Einaudi