Un ponte tra risparmio privato ed economia reale, che consente di innescare un circolo virtuoso di cui possono beneficiare tanto gli investitori quanto il sistema produttivo del Paese. È questa la filosofia su cui si basano i PIR, Piani Individuali di Risparmio, istituiti in Italia con la legge di bilancio del 2017 sulla scorta delle fortunate esperienze di altri Paesi come Francia e Regno Unito.
La nascita dei PIR è da ricondurre alla volontà del legislatore di indirizzare la grande quantità di risparmio privato degli italiani, spesso immobilizzato o depositato in strumenti infruttiferi, verso il tessuto produttivo, in particolare piccole e medie imprese, che necessitano di credito per poter investire e crescere (offrendo così un ritorno agli investitori).
Un circolo virtuoso, appunto, che ora, dopo l’epidemia di Covid, è tornato al centro dell’attenzione. Per riprendersi dall’urto dell’emergenza sanitaria e per migliorare la competitività del Paese sul fronte della digitalizzazione, della sostenibilità delle infrastrutture, serviranno molti investimenti, pubblici e privati. In questo contesto, i PIR appaiono il veicolo principe per attivare proprio il risparmio privato, che è in costante crescita dopo COVID.
PIR, cosa sono i Piani Individuali di Risparmio
I PIR sono strumenti di investimento di medio e lungo periodo, riservati alle persone fisiche, che danno diritto ad un trattamento fiscale agevolato. Se l’investimento viene infatti mantenuto almeno 5 anni, con un tetto di 30.000 euro all’anno per 150.000 euro totali, l’investitore beneficia dell’abbattimento del carico fiscale. La normativa prevede, infatti, l’esenzione dell’imposta sul capital gain pari al 26% (12,5% per i titoli di Stato) e sulla successione.
Si tratta di una leva molto forte, che il legislatore ha scelto proprio per favorire gli investimenti privati nell’economia reale, sia per migliorare le opportunità di rendimento per chi investe che per accrescere le opportunità delle imprese di ottenere risorse finanziarie per investimenti di lungo termine, favorendo lo sviluppo dei mercati finanziari.
Per fare questo, sono state previste delle regole sulla composizione dei PIR, che favoriscono il trasferimento degli investimenti alle imprese. I PIR nati nel 2017 prevedono in sostanza che gli investimenti vadano al 70% in strumenti emessi da imprese italiane di cui il 30% in strumenti emessi da imprese diverse rispetto a quelle incluse nel FTSE Mib (sostanzialmente, il 21% del totale va verso le PMI); il restante 30% può essere impiegato anche sotto forma di liquidità. Nel 2020 è stata introdotta la quota del 5% (del 30%) da destinare a piccole e piccolissime imprese. Per incentivare la diversificazione, è stato anche previsto il vincolo di concentrazione, in base al quale non più del 10% del portafoglio può essere destinato a strumenti dallo stesso emittente.
Pur con vicende alterne, legate soprattutto ad incertezze normative, i PIR hanno raccolto, in questi anni, grande interesse da parte degli investitori, grazie anche alle buone performance di questi strumenti, che hanno registrato rendimenti a doppia cifra: dal 2019 al 2021, si parla in media di un +17%1.
Secondo i dati pubblicati dall’Osservatorio di Assogestioni2, al 31 dicembre 2020 il sistema dei 71 fondi PIR tradizionali conta masse in gestione per 17,8 miliardi, pari a circa l’1,6% del mercato totale dei fondi aperti. I PIR investono in azioni italiane 8,4 miliardi, mentre 5,7 miliardi sono destinati ad obbligazioni corporate di emittenti domestici; i restanti 3,7 miliardi sono ripartiti in cash e titoli di Stato italiani ed esteri.
Per quanto riguarda gli ambiti di destinazione, più del 25% del portafoglio dei PIR è investito in società Aim (settore di Borsa Italiana dedicato alle PMI) del settore industriale; seguono le imprese tecnologiche con più del 20% e l’healthcare con il 10%. Tra gli altri settori azionari che beneficiano maggiormente degli investimenti dei PIR emergono i servizi finanziari, con il 35% dello stock dell’indice FTSE Mib. Nel segmento Mid Cap spiccano servizi finanziari e consumi ciclici. Titoli industriali e tecnologici si mettono in evidenza anche nel segmento Small Cap.
Dopo Covid, i PIR Alternativi
Con l’articolo 136 del Decreto Rilancio di giugno 2020, il Governo ha accolto la proposta avanzata dagli operatori del settore raccolti da Assogestioni nell’istituzione dei PIR Alternativi, una generazione di PIR complementare a quella degli ordinari, costituiti sempre con l’obiettivo di far affluire risorse alle piccole e medie imprese non quotate.
Il meccanismo è uguale a quello degli ordinari: gli investitori che sottoscrivono un piano individuale di risparmio e mantengono l’investimento per 5 anni possono contare su una totale detassazione sugli utili, sul capital gain, sui dividendi e sono esentati dal pagamento delle imposte di successione. Cambiano però le soglie d’investimento, incrementate ad un massimo di 150.000 euro annui per un totale di 1.500.000 nei 5 anni.
Per quanto riguarda la composizione, il decreto Rilancio prevede che il 70% del valore complessivo debba andare, direttamente o indirettamente, in strumenti finanziari emessi da imprese italiane o con stabile organizzazione in Italia, diverse da quelle inserite negli indici Ftse Mib, Ftse Mid Cap di Borsa Italiana, in credito o in prestiti erogati alle stesse imprese. In questo modo, la maggior parte dell’investimento si dirige verso imprese più piccole e al momento più in difficoltà a causa dell’emergenza coronavirus. Altra differenza rispetto ai PIR tradizionali è il limite di concentrazione, perché la soglia, negli alternativi, è fissata al 20%.
L’obiettivo, in sostanza, è di accentuare il ruolo del risparmio come risorsa finanziaria collettiva indirizzandolo su investimenti illiquidi che possono stimolare il tessuto imprenditoriale italiano delle imprese di piccole dimensioni, facendo partecipare gli investitori alla ripresa dell’Italia.
Rilancio economico e PIR, un binomio che si sta consolidando
L’istituzione dei PIR alternativi è un indicatore di quanto la partnership tra pubblico e privato sia considerata centrale per la ripresa post-Covid.
Non a caso, nella relazione del Senato sul PNRR (PIano Nazionale di Ripresa e Resilienza) vengono esplicitamente menzionati i PIR come strumenti per raccogliere fondi da destinare a digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura3, prevedendo addirittura di “istituire un Fondo sovrano italiano pubblico-privato, finalizzato a favorire la patrimonializzazione delle imprese italiane. In tale ottica, si potranno potenziare forme di incentivazione fiscale del risparmio a medio-lungo termine investito in economia reale, in analogia con quanto previsto per i piani individuali di risparmio (PIR), anche aumentando il tetto della somma massima investibile per persona fisica nei PIR ordinari”.
In quest’ottica, non stupisce che con la legge di bilancio del 2021 sia stato aggiunto un ulteriore vantaggio fiscale per i PIR alternativi, ovvero la possibilità di trasformare in credito d’imposta le minusvalenze (a patto di mantenere l’investimento per almeno 5 anni).
Si va a delineare, dunque, uno scenario in cui il legislatore vede i PIR (o strumenti PIR-compliant) come veicoli potenziali per incrementare la ripresa, da incentivare per favorirne la diffusione.
Dall’altra parte, proprio la crescita economica del Paese, attraverso il suo sistema produttivo, può offrire un’alternativa ai risparmiatori sia retail che private, che possono diversificare i loro investimenti ed accedere a nuove opportunità attraverso i PIR.
1. cfr.
Isabella Della Valle, “Pir, da inizio anno balzo dei rendimenti. Ma la raccolta è bloccata dai decreti in ritardo”, Il Sole 24 Ore, 20 aprile 2019
Andrea Pira, “Pir, raccolta pronta a ripartire”, Assinews.it, 11 marzo 2021
2. “Pir, i numeri aggiornati dell’Osservatorio Assogestioni”, Assogestioni, 26 marzo 2021
3. “Relazione delle Commissioni riunite”, senato.it, 3 maggio 2021