L’aspetto più evidente delle conseguenze dei cambiamenti climatici è rappresentato dalla sempre maggiore frequenza con cui avvengono calamità naturali, come alluvioni, trombe d’aria, nubifragi.
Si tratta di eventi estremi, che possono causare danni fisici ingenti ad abitazioni, luoghi di lavoro, infrastrutture, uffici pubblici, comportando un doppio onere per chi li subisce: i costi del ripristino e quelli legati all’interruzione dell’attività legata al luogo danneggiato.
Contro questi danni, esistono delle coperture assicurative specifiche, ma secondo l’analisi dell’EIOPA1 (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali), solo il 35% delle perdite totali causate da eventi meteorologici estremi e legati ai cambiamenti climatici sono attualmente assicurati in Europa. Questo comporta un gap di protezione – ovvero la differenza tra il livello di assicurazione e l’ammontare delle perdite economiche, pari al 65%.
Tuttavia, vista la sempre maggiore frequenza degli eventi estremi, questa carenza di protezione potrebbe non essere sostenibile ancora a lungo.
Perché c’è il gap di protezione rispetto alle calamità naturali?
La principale ragione del gap di protezione assicurativa contro il rischio di alluvioni è un fenomeno noto come “charity hazard”, ovvero la convinzione che i danni non assicurati saranno coperti dallo Stato fa sì che non si prenda in considerazione l’idea di sottoscrivere un’assicurazione privata.
Uno studio pubblicato sulla rivista Science Direct2 ha evidenziato che l’entità del fenomeno dell’”hazard” diminuisce con l’incertezza del risarcimento da parte dello Stato, nonché in presenza di un rischio di calamità naturali più elevato.
In genere, a meno che non ci sia un obbligo, la decisione di avere una copertura assicurativa per le calamità naturali dipende da diversi fattori, come la percezione del rischio, la disponibilità reddituale e la copertura pubblica. Quest’ultima, in particolare, riduce l’incentivo ad avere una copertura privata, ma la bassa diffusione delle polizze porta ad un aumento dei premi che, a sua volta, scoraggia i privati dall’aderire alle polizze, generando un circolo vizioso.
Eppure, in questo quadro c’è un errore di fondo, perché la copertura pubblica rispetto ai danni da calamità naturali non sempre è all’altezza delle aspettative.
Al netto di alcune differenze tra i diversi Stati, i risarcimenti pubblici in genere sono parziali, il che significa che una parte della spesa resta comunque a carico del privato. Inoltre, spesso il ristoro viene deciso ex-post, deliberato caso per caso dal Governo, sulla base dell’entità dei danni e dei fondi a disposizione. In genere, inoltre, i criteri di ripartizione dei ristori sono determinati in base a requisiti socio-economici. Quanto ai tempi, di prassi i risarcimenti vengono erogati con tempi più lunghi di quelli che sono necessari a ripristinare i luoghi danneggiati, talvolta come copertura di spese affrontate dai privati, che devono quindi anticipare i costi.
In sostanza, la copertura pubblica rischia di non essere efficiente rispetto all’entità dei danni che possono derivare dalle calamità naturali, perché i fondi non sono sempre garantiti, possono non essere sufficienti rispetto alle necessità del singolo e perché non tutti possono accedervi in tempi rapidi.
Come superare il gap di protezione?
Il mondo assicurativo gioca un ruolo fondamentale nell’adattamento ai cambiamenti climatici, perché può offrire la copertura specifica anche rispetto ai danni provocati da eventi meteorologici estremi.
A fronte di un premio, calcolato in base ai beni assicurati ed al rischio che si verifichi l’evento dannoso, viene erogato un risarcimento, che copre le spese che altrimenti dovrebbero essere sostenute dai privati.
Tuttavia, lo scenario che si sta configurando, con un rischio climatico potenzialmente elevatissimo, sta inducendo a pensare ad una terza via rispetto a copertura totalmente pubblica e totalmente privata.
Se quella pubblica, infatti, non è sufficiente, demandare solo al mondo assicurativo la protezione dai rischi legati ai cambiamenti climatici potrebbe non essere sostenibile, perché l’aumento della probabilità di un evento fa aumentare il valore del premio, scoraggiando l’accesso alla tutela. Inoltre, il modello assicurativo è efficiente perché si basa sulla distribuzione del rischio tra un ampio numero di soggetti. Se l’evento dannoso si verifica in spazi limitati, il sistema resta in equilibrio; ma se, facendo un’ipotesi estrema, tutti gli assicurati sono coinvolti da eventi atmosferici che causano danni ingenti, l’equilibrio rischia di saltare ed il rischio climatico può diventare non assicurabile.
Ecco perché si pensa al rafforzamento e alla diffusione, a livello europeo, di un modello di compartecipazione pubblico-privato in cui Stato e mondo assicurativo compartecipino alla protezione dai danni legati al rischio climatico.
Cosa può fare il privato che vuole tutelarsi? Oltre alla protezione pubblica, attivabile secondo le modalità definite dal proprio Governo, e alle soluzioni assicurative specifiche per questa tipologia di danni, è sempre possibile pianificare la gestione del proprio patrimonio in modo da accantonare un capitale o una rendita per affrontare spese anche ingenti, in caso di necessità.
1. “Protection gap for natural catastrophes”, EIOPA, settembre 2019
2. “Charity hazard and the flood insurance protection gap: An EU scale assessment under climate change”, ScienceDirect, marzo 2022