Se è vero che il rischio è ineliminabile in quanto è elemento costitutivo dell’investimento stesso (nonché strettamente correlato al rendimento), è altrettanto vero che nel mondo globalizzato i cambiamenti sono repentini e imprevedibili e, soprattutto, hanno conseguenze globali che possono portare ad alzare l’asticella della difesa del capitale.
COVID-19 è stato un chiaro esempio di come il mondo possa essere stravolto in poco tempo, ma anche i cambiamenti climatici sono un fenomeno altrettanto globale che sta imponendo trasformazioni profonde, a partire dalle strategie di riduzione delle emissioni che impattano profondamente sul modello economico e di sviluppo fino ad ora noto.
Di fronte ad una situazione in costante evoluzione, per un investitore o un risparmiatore può essere ragionevole cercare la modalità per conservare il proprio patrimonio, difendendolo dall’erosione del potere d’acquisto o dall’elevata volatilità, attraverso i beni rifugio.
I beni rifugio nelle crisi
I beni rifugio rappresentano storicamente gli asset a cui i risparmiatori e gli investitori si rivolgono proprio nei periodi di crisi.
L’oro ma anche le opere d’arte, le valute, l’immobiliare, costituiscono asset considerati sicuri, in quanto dotati di un valore intrinseco che non dovrebbe, pertanto, essere soggetto alla volatilità, mantenendo così il proprio valore anche nei cicli in cui le performance dei mercati finanziari non sono particolarmente brillanti.
Lo si è visto bene negli ultimi tre anni, sia con Covid che con la guerra in Ucraina.
Nel 2020, infatti, in piena pandemia, mentre la la maggioranza degli asset rischiosi era in sofferenza, l’oro ha registrato una crescita del 12% (valore in dollari) nei primi 4 mesi dell’anno1, del 16% in euro, di gran lunga la migliore rispetto alle principali asset class globali.
Di fatto, la combinazione tra crollo del mercato azionario e il calo dei rendimenti reali in calo ha portato ad un rimbalzo per il bene rifugio per eccellenza, portandolo ai massimi livelli dal 2012.

Lo stesso scenario si è registrato in occasione della guerra in Ucraina, perché dopo il 24 febbraio, di fronte agli scenari di crisi e incertezza che si aprivano, gli investitori hanno iniziato ad acquistare oro2.

In situazioni di instabilità, di fatto l’oro è ancora considerato il bene rifugio per eccellenza, perché, come metallo raro, può essere facilmente convertito in liquidità e la possibilità di crescita della sua offerta è limitata.
Conviene investire in un bene rifugio come l’oro?
Per il 2023, le scelte delle banche centrali saranno orientate a contenere l’andamento dei prezzi, ma ci vorrà tempo perché gli effetti delle politiche monetarie inizino a dispiegarsi.
Per difendere il patrimonio, l’oro rappresenta, in linea di massima, una buona difesa. Ciò non significa che non possa essere soggetto a volatilità, perché l’aumento dei tassi di interesse potrebbe aprire comunque opportunità per altri asset “meno sicuri”, riducendo quelle dei beni rifugio.
Quando si valuta la convenienza di un investimento in questi particolari beni, dunque, va sempre ricordato che non c’è una regola precisa, che valga per tutti allo stesso modo, perché ogni decisione deve essere assunta tenendo in considerazione il proprio punto di partenza, le proprie aspettative ed esigenze, per evitare di cadere in trappole mentali o di commettere errori legati al “sentiment” di mercato del momento.
Fondamentale, poi, per ridurre i rischi non è tanto (e non solo) la scelta del singolo asset, quanto la diversificazione del portafoglio, fatta in modo corretto (non solo quantità, ma anche asset che non abbiano rischi correlati).
All’interno di questa cornice, è possibile valutare di inserire o rafforzare nel proprio portafoglio la presenza dei beni rifugio o di fondi che, ad esempio, investono in oro per conservare il proprio patrimonio, proteggendolo da oscillazioni di mercato, inflazione o instabilità economica.
1. Valerio Baselli, “Oro col vento in poppa, ma per quanto?”, Morningstar, 11 maggio 2020
2. Akila Quinio, “Investors buy gold in response to Ukraine war”, Financial Times, 11 marzo 2022