La sigla ESG è ormai entrata nel lessico della sostenibilità, sia sulla stampa che tra l’opinione pubblica. Ovunque se ne parla, tanto che se si digita l’acronimo su Google, compaiono 502.000.000 di risultati.
Secondo l’ultima ricerca di PwC Asset and Wealth Management1, condotta fra 250 gestori — a cui fanno capo circa 50 trilioni di dollari — e 250 investitori istituzionali con capitali complessivi di 60 trilioni, nel 2026 gli investimenti con criteri ESG (Environmental, Social, Governance) passeranno da 18,4 trilioni a 33,9 trilioni nel mondo. La crescita maggiore si verificherà nel Nord America, ma l’Europa continuerà ad essere leader nell’impegno sugli investimenti sostenibili: i suoi patrimoni con l’orientamento ESG passeranno da 12,8 a 19,6 trilioni.
Tutti concordano che investire in modo coerente con i fattori ESG significa indirizzare capitali verso imprese e progetti considerati sostenibili cioè, ad esempio, che rispettano l’ambiente, sono attente all’inclusione e al benessere dei lavoratori, favoriscono le presenza di donne negli organi di amministrazione.
Tuttavia resta ancora da chiarire con precisione quali siano i criteri che definiscono ESG un investimento.
Criteri ESG: perché è difficile definirli
Il percorso di transizione ambientale è molto complesso, come dimostrano casi quali quello della direttiva sulle abitazioni green.
Da una parte ci sono i princìpi, che trovano consenso unanime. Dall’altra, c’è la messa a terra degli obiettivi, che portano a dover far coesistere target molto ambiziosi con la tenuta economica e sociale di interi Stati.
Questa difficoltà si sta riscontrando anche nella definizione dei criteri ESG e spiega perché il grande lavoro intrapreso dall’Unione Europa per definire la tassonomia – un vocabolario comune della finanza sostenibile – stia andando a rilento.
Come è noto, l’Unione Europa ha avviato il primo importante lavoro a livello globale per arrivare ad un vocabolario comune della finanza sostenibile, che possa portare ad identificare la sostenibilità su basi scientifiche e autorevoli.
Non è semplice, infatti, riuscire a valutare l’impatto delle attività sull’ambiente. Prendiamo il caso delle auto elettriche. Sostituire la benzina con l’energia elettrica permette di abbattere le emissioni climalteranti delle auto, ma se l’energia elettrica viene prodotta con combustibile fossile si può parlare veramente di sostenibilità ambientale?
L’Europa si è data l’obiettivo di chiarire tutti questi aspetti, che riguardano ogni ambito dell’approccio sostenibile, dall’ambiente alla società alla governance. Tuttavia, il percorso iniziato nel 2018 con il Piano d’Azione sulla Finanza sostenibile avviato dalla Commissione europea, è tutt’altro che facile.
A giugno 2020 è stato approvato il Regolamento sulla Tassonomia delle attività eco-compatibili che individua sei obiettivi ambientali e climatici:
- mitigazione dei cambiamenti climatici: ridurre o evitare le emissioni di gas serra o migliorarne l’assorbimento;
- adattamento ai cambiamenti climatici: ridurre o prevenire gli effetti negativi del clima attuale o futuro oppure il rischio degli effetti negativi;
- uso sostenibile e protezione delle acque e delle risorse marine;
- transizione verso un’economia circolare, focalizzata sul riutilizzo e riciclo delle risorse;
- prevenzione e controllo dell’inquinamento;
- tutela e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.
Il Regolamento chiarisce anche che un’attività può essere considerata sostenibile se:
- contribuisce positivamente ad almeno uno dei sei obiettivi ambientali;
- non produce impatti negativi su nessun altro obiettivo;
- si svolge nel rispetto di garanzie sociali minime (per esempio, quelle previste dalle linee guida dell’OCSE e dai documenti delle Nazioni Unite).
Ma come si fa a definire se e in che quantità un’attività contribuisce agli obiettivi ambientali o non produce impatti negativi? Quali sono le garanzie sociali minime?
Proprio su questi punti il percorso ha iniziato a rallentare. L’Europa, ad esempio, si è divisa a lungo sulla possibilità di annoverare anche l’energia nucleare e il gas naturale tra le fonti green. Anche in questo caso, hanno pesato le posizioni dei diversi Paesi: il gruppo a trazione francese, che ha investito da tempo sul nucleare, era favorevole, mentre chi, come la Germania, ha intrapreso la dismissione delle centrali nucleari nei propri confini, era contrario.
A luglio 2022 la decisione finale è stata di inserire nucleare e gas naturale nelle fonti green, ma il lavoro è solo all’inizio. Per ora l’Europa ha lavorato solo sui primi due punti dei sei obiettivi ambientali, per cui mancano gli altri quattro. Inoltre, lo stesso lavoro andrà fatto per tutto ciò che riguarda la sostenibilità sociale.
Investire in modo sostenibile: come scegliere?
In attesa di avere un quadro completo della Tassonomia, come devono orientarsi gli investitori retail?
Innanzitutto, una guida importante è arrivata con il Sustainable Finance Disclosure Regulation del 2021, regolamento in base al quale tutti i gestori hanno dovuto rendere chiare ed esplicite per ciascun prodotto di investimento le informazioni su rischi di sostenibilità (eventi o condizioni ambientali, sociali o di governance, come i cambiamenti climatici, che potrebbero causare un impatto negativo sostanziale sul valore di un investimento) e impatti negativi degli investimenti (tutti gli effetti negativi che le decisioni di investimento o la consulenza potrebbero avere sui fattori di sostenibilità).
Per gli investitori che vogliono scegliere la sostenibilità guardare queste indicazioni è un primo passo per avere la certezza di indirizzare i propri investimenti verso attività realmente sostenibili.
D’altra parte, il discorso sostenibilità non può esaurirsi nel solo rispetto del SFDR, visto che a monte, come abbiamo visto, non c’è una visione chiara e condivisa su quali siano i criteri che definiscono un’attività sostenibile.
Per questo, nel valutare gli investimenti sostenibili, ci possono essere ulteriori due elementi da considerare.
Innanzitutto, l’approccio complessivo del gestore alla sostenibilità, che non può esaurirsi solo nella compliance del singolo prodotto ai fattori ESG, ma dovrebbe permeare tutta l’attività.
In secondo luogo, è bene tener presente che ci sono alcuni ambiti che sono più avanti rispetto ad altri nella transizione, perché in questi anni si sono concentrati investimenti. Uno di questi è quello dell’energia, per il quale sono in fase di studio o sono state sviluppate molte tecnologie che da una parte hanno bisogno di investimenti ulteriori per essere implementate, mentre dall’altra rendono più concreto il traguardo dell’abbattimento delle emissioni. Scegliere quindi di orientare i propri investimenti verso soluzioni che investono in energia pulita è un ulteriore aspetto da tenere in considerazione quando si vuole investire in sostenibilità.
1. “ESG-focused institutional investment seen soaring 84%, making up 21.5% of assets under management: PwC report”, PwC