In pensione più tardi rispetto ai propri genitori e con vitalizi non sempre all’altezza delle aspettative. Il futuro previdenziale delle nuove generazioni sarà molto diverso da quello conosciuto dai predecessori, segnando un forte divario.
L’indicatore più evidente di tale disequilibrio è l’età pensionabile, destinata ad aumentare in tutta Europa.
Secondo il report dell’Ocse “Pensions at a glance 2021”1, nell’Europa a 27 un 22enne che ha iniziato a lavorare nel 2020 andrà in pensione a 66 anni, contro i 64 attuali.
La situazione varia nei diversi Paesi. In base alle proiezioni dell’Ocse, uno dei Paesi con l’impatto maggiore sarà l’Italia dove si passerà da 62 a 71 anni per uscire dal mondo del lavoro; in Finlandia, invece, la crescita sarà da 65 a 68 anni, mentre in Germania, Slovacchia, Repubblica Ceca, Lituania, l’aumento dovrebbe essere di un anno. Non ci dovrebbero essere variazioni per Ungheria, Svezia, Polonia, Austria e Islanda (qui, però, l’età pensionabile è già sopra la media europea, a 67 anni).

Perché l’età pensionabile è destinata ad aumentare?
Aspettativa di vita, calo demografico, COVID: le cause del divario generazionale pensionistico
Il prolungamento dell’età pensionabile impatta sui progetti di vita dei Millennials e delle generazioni successive, che vedono posticipare l’uscita dal mondo del lavoro rispetto ai propri genitori.
Le ragioni di tale rinvio sono molteplici e dipendono da una serie di fattori.
Innanzitutto occorre ricordare che i sistemi pensionistici si basano sull’equilibrio tra le entrate, rappresentate dai contributi dei lavoratori, e le uscite, che sono appunto le pensioni.
Il sistema regge se la forza lavoro e i contributi – che sono una percentuale dei redditi da lavoro – sono sufficienti a coprire il vitalizio, il cui importo è legato alla durata della vita.
Si tratta, dunque, di un’equazione che dipende da una serie di variabili, non facilmente controllabili. Una di queste variabili è l’aspettativa di vita: se aumenta, come sta accadendo a livello europeo, bisogna incrementare le entrate per coprire i costi maggiori o ridurre le uscite.
La soluzione ottimale sarebbe ovviamente quella di aumentare le entrate dei sistemi previdenziali, ma l’Europa si trova al momento nella morsa del calo demografico, che porterà ad un calo di forza lavoro e quindi di contributi versati: si stima che nel 2060 la popolazione in età da lavoro in Europa (soprattutto al Sud, Centro ed Est) diminuirà di oltre un quarto2.
A questo si aggiunge la precarizzazione del mercato del lavoro, soprattutto dopo la crisi del 2008, che ha portato i giovani ad avere in ritardo contratti lavorativi, con stipendi ridotti rispetto al pre-crisi e con minori tutele.
Ecco perché, nel quadro attuale, è più realistico pensare ad una riduzione delle uscite, che si concretizza innanzitutto riducendo gli anni di versamento dei vitalizi, ovvero allungando l’età pensionabile.
Anche COVID ha dato il suo contributo: il passaggio tra 2019 e 2020 è stato difficile per i lavoratori. Soprattutto i più giovani, che già partivano da posizioni lavorative precarie, meno pagate e quindi meno stabili, hanno subito un calo o lo stop totale del lavoro. Secondo l’Ocse, è ancora presto per fare previsioni, ma è molto probabile che gli anni della pandemia peseranno molto sulle pensioni future.
Pensioni, importi più poveri per i Millennials
La pensione, per sua natura, è inferiore al reddito da lavoro e per questo comporta una riduzione fisiologica del tenore di vita.
Questo accade indipendentemente dalla modalità con cui il vitalizio è calcolato, ovvero sia che si usi il metodo retributivo (la pensione è una percentuale del reddito degli ultimi anni di lavoro), sia che si usi il contributivo (la pensione dipende dai contributi versati in tutta la carriera lavorativa).
Per colmare il gap, si può intervenire attraverso la previdenza privata o con forme di gestione dei risparmi che consentono di accantonare risorse anche in ottica previdenziale. Questo vale soprattutto per i giovani che, a causa di carriere discontinue, rischiano di avere pensioni nettamente inferiori rispetto a quelle delle generazioni precedenti: un tema che preoccupa anche l’Europa, che si sta attivando per dar vita ad una forma previdenziale europea.
COVID, anche in questo caso, ha avuto un effetto dirompente, determinando una frenata nei salari.
Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro3, già nel pre-pandemia, la crescita aveva già subito un rallentamento.

La pandemia ha messo ulteriormente alla prova i lavoratori: in Europa molti posti di lavoro sono andati perduti e il numero di ore lavorate in media ha registrato un calo, soprattutto per quanto riguarda le professioni meno retribuite. Mediamente, secondo i dati forniti dall’Organizzazione internazionale del lavoro, nel 2020 la massa salariale è infatti diminuita rispetto all’anno precedente del 6,5%.
Di queste dinamiche resterà traccia nelle pensioni, in particolare quelle dei lavoratori Millennials, col rischio di veder aumentare il divario generazionale pensionistico.
1. “Pensions at a Glance 2021”, OECD, 8 dicembre 2021
2. “Pensions at a Glance 2021 : OECD and G20 Indicators”, OECD
3. “Global Wage Report 2020–21. Wages and minimum wages in the time of COVID-19”, International Labour Organization, 2020