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Gender gap pensionistico

Data di pubblicazione08 Mar 2022   |   Tempo di lettura 8min   |   Tag investimento, pensioni, previdenza, risparmio

Educazione finanziaria

Gender gap pensionistico: si può superare?

Rappresentano più della metà dei pensionati in Italia, ma i loro vitalizi sono decisamente più bassi di quelli dei colleghi uomini. Il gender gap, disparità di genere, nella previdenza è ancora un dato di fatto, ben visibile nei numeri che, costantemente, vengono aggiornati dalle istituzioni a livello internazionale e nazionale.

Il problema, in effetti, non riguarda solo l’Italia, ma lo si riscontra, in modo più o meno omogeneo, in tutto il mondo. In media, nei Paesi OCSE1, le donne ricevono una pensione inferiore del 26% rispetto a quella degli uomini. L’Italia è sopra la media con il 32%, insieme alla Germania, ma il Giappone, ad esempio, fa peggio, con divario del 47%. Neppure i Paesi del Nord Europa, virtuosi sul fronte del welfare pubblico, sfuggono al gap: in Svezia il gender gap pensionistico è del 28% e in Norvegia del 27%.

Entrando nel dettaglio dell’Italia, l’ultima analisi dell’Inps2 evidenzia che nel 2020 l’ammontare medio delle nuove pensioni scattate durante l’anno è stato di 1.243 euro al mese, con 1.033 euro a testa per le donne, 1.498 euro pro capite per gli uomini e uno scarto di 465 euro (-31%, quasi un terzo in meno), considerando pensioni di vecchiaia, anticipate, invalidità e reversibilità.

Nel primo semestre 2021 il gender gap pensionistico è addirittura salito a 498 euro al mese. L’importo tipo delle nuove pensioni con decorrenza gennaio-giugno è stato di 1.155 euro, con 931 euro in media per le donne, 1.429 per gli uomini, con un gap del 34,8%.

Perché le pensioni delle donne valgono un terzo in meno rispetto a quelle degli uomini?

Gender gap pensionistico: le ragioni della disparità

Le pensioni sono il riflesso dell’attività lavorativa. Qualunque sia il metodo di calcolo dell’importo, infatti, il valore del vitalizio è legato al reddito da lavoro (metodo di calcolo retributivo) o ai contributi accantonati (metodo di calcolo contributivo).

Per questo, l’origine della differenza degli importi tra i vitalizi delle donne e quelle degli uomini va dunque individuata a monte, nel mercato del lavoro. Qui le donne scontano una minore presenza, ma anche redditi più bassi e carriere più discontinue di quelle dei colleghi uomini, che determinano buchi contributivi che si riflettono poi sull’entità della pensione.

Secondo il Rapporto Tematico di Genere realizzato dal consorzio interuniversitario AlmaLaurea3, nonostante le donne costituiscano il 60% dei laureati in Italia, guadagnano il 20% in meno dei loro colleghi e occupano professioni di livello più basso.

Sulle carriere lavorative delle donne impatta il lavoro di cura verso la famiglia che, per ragioni culturali, è ancora ampiamente in capo a loro. Per conciliare lavoro e famiglia, le donne tendono ad accettare contratti precari o part-time, fino addirittura a sospendere per lunghi periodi la partecipazione al mercato del lavoro. Non a caso, uno dei periodi in cui sono minori gli accantonamenti pensionistici per le lavoratrici è quello tra i 25 e i 44 anni, età in cui avviene spesso la maternità.

Un rapporto della Commissione Europea4 sul gender gap pensionistico ha evidenziato, in Europa, un differenza del 17% tra le pensioni delle donne single e degli uomini, mentre la disparità media sale al 30% per le donne con figli e i colleghi, e la percentuale cresce in relazione al numero di figli.

Guardando in prospettiva, è molto probabile che il gender gap resterà ancora una sfida per lungo tempo e che vada addirittura ad aumentare per l’effetto congiunto di metodo contributivo e conseguenze di Covid.

Il metodo contributivo, ancor più del retributivo, è infatti legato alla carriera lavorativa, perché considera la media di tutti i contributi versati dal primo all’ultimo giorno di lavoro per calcolare la pensione. Se il montante contributivo è caratterizzato da importi bassi o periodi di vuoto, la pensione sarà fortemente penalizzata. Facendo un focus su Opzione donna, che consente alle lavoratrici di uscire prima dal mondo del lavoro rispetto ai requisiti anagrafici della pensione di vecchiaia (a patto di accettare il calcolo del vitalizio interamente con il contributivo), l’Inps5 evidenzia come ben il 90% delle pensioni calcolate sia sotto i 1.000 euro al mese.

Il Covid può essere causa di un ulteriore aggravamento del gap pensionistico, perché l’emergenza sanitaria e le chiusure anti-contagio per quasi due anni hanno impattato soprattutto sull’occupazione femminile. Ciò vuol dire che molte donne si troveranno con dei buchi contributivi, che avranno il loro riflesso sull’importo finale.

Si può ridurre il gap pensionistico?

La strada per ridurre la disparità tra le pensioni degli uomini e quelle delle donne ha due corsie.

Una è rappresentata da un cambiamento strutturale del mercato del lavoro, perché solo incrementando il numero di occupate e riducendo quanto più possibile la discontinuità delle carriere, attraverso politiche di conciliazione dei tempi lavoro-famiglia, si potranno vedere effetti anche sulle pensioni.

Questi cambiamenti richiedono molto tempo, anni se non decenni, perché non solo sono necessari interventi dal Governo, ma serve anche un cambiamento culturale complessivo.

L’altra corsia è rappresentata dall’iniziativa personale della lavoratrice che può attrezzarsi per tempo nella ricerca di soluzioni per integrare la pensione. In Italia, si riscontra una certa diffidenza delle donne ad investire, nonostante siano molto interessate alla possibilità di mantenere una propria stabilità nel futuro.

Secondo il focus dell’OCSE sul gender gap pensionistico, gli investimenti in piani previdenziali sono più diffusi tra gli uomini (15%) che tra le donne (9%), frutto di una maggiore avversione al rischio ma anche di meccanismi dei sistemi previdenziali che non sono sempre neutrali rispetto al genere. Come rileva l’OCSE6, le donne, ad esempio, possono essere svantaggiate da restrizioni di accesso a piani previdenziali legate alle ore lavorate o alle retribuzioni; in alcuni casi, nel periodo di maternità è previsto lo stop dei contributi previdenziali.

Molte meno restrizioni le hanno le formule di investimento dei risparmi previste dalle soluzioni assicurativo-finanziarie, che permettono di scegliere modalità di accesso (premio unico, premio ricorrente), l’importo del premio, la durata, la possibilità di diversificare gli investimenti in base al proprio profilo di rischio e le opzioni per valorizzare l’investimento, con la finalità di costruire un capitale o una rendita con cui è possibile integrare il gap pensionistico nel momento in cui si è fuori dal mondo del lavoro.

1. “Il gender gap in campo previdenziale e come porvi rimedio: il report dell’OCSE”, Panorama Assicurativo

2. “Monitoraggio flussi di pensionamento 2020 e primo semestre 2021”, INPS, 21 luglio 2021

3. “Laureate più motivate e intraprendenti, laureati più occupati e pagati”, AlmaLaurea, 28 gennaio 2022

4. Francesca Bettio, Platon Tinios, Gianni Betti, “The gender gap in pensions in the EU”, ENEGE

5. “Pensioni decorrenti nel 2020 e nel 2021”, INPS, 2 gennaio 2022

6. Giuliana Licini, “Pensioni: Ocse, -26% assegno per donne rispetto a uomini e -32% in Italia”, Il Sole 24 Ore, 12 marzo 2021

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