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PIR fai da te

Data di pubblicazione11 Gen 2022   |   Tempo di lettura 5min   |   Tag agevolazioni, investimento, PIR, risparmio

Educazione finanziaria

PIR fai da te? Si può, ma attenzione a non perdere i benefici fiscali

Costruire il proprio Piano Individuale di Risparmio da soli? Ciascuno lo può fare, ma prima di approcciarsi a questo tipo di investimento in maniera autonoma è bene valutare se si posseggono tutte le competenze per realizzarlo e gestirlo nel tempo. Il rischio, infatti, è che se non si seguono tutte le regole previste dalla normativa, si perda la possibilità di beneficiare dei vantaggi fiscali previsti dal legislatore, a partire dalla detassazione del rendimento.

Come costruire un PIR: le regole

Il PIR è, di fatto, un contenitore all’interno del quale possono essere collocati diversi strumenti finanziari, come azioni, obbligazioni, titoli di Stato, derivati, fondi comuni, gestioni patrimoniali e polizze vita. Tecnicamente, per creare un PIR fai da te basta recarsi nel proprio istituto di credito e aprire un conto d’appoggio collegato al proprio conto corrente, da utilizzare per la gestione degli investimenti.

Poiché l’obiettivo è di convogliare il risparmio degli italiani verso le piccole e medie imprese nazionali, il legislatore ha studiato una serie di regole di composizione che consentano effettivamente di indirizzare gli investimenti verso le realtà produttive del Paese.

Orientarsi tra queste regole può non essere, tuttavia, così intuitivo. Dall’istituzione dei PIR nel 2017, la normativa è cambiata spesso e, con essa, anche i vincoli da rispettare nell’allocazione dei capitali sui diversi asset.

Nella versione originaria, l’investitore doveva destinare almeno il 70% del capitale a strumenti finanziari, anche non quotati, emessi da imprese italiane residenti nel territorio nazionale o in Stati membri dell’UE o dello Spazio Economico Europeo, purché dotati di stabile organizzazione nel nostro Paese. Inoltre doveva investire il 30% di quel 70% (quindi il 21% del totale) in strumenti emessi da aziende non quotate sull’indice Ftse Mib (è il più significativo indice azionario della Borsa Italiana, con un paniere che racchiude le azioni delle 40 società italiane con maggiore capitalizzazione, flottante e liquidità). A questo si aggiungeva il vincolo di concentrazione, che non permetteva di allocare più del 10% dell’investimento in strumenti finanziari di uno stesso emittente.

Quanto agli importi, i benefici fiscali si ottenevano su investimenti fino a 30.000 euro all’anno per 5 anni, per un totale di 150.000 euro.

La Legge di Bilancio 2019 ha mantenuto le soglie di investimento, ma ha aggiunto altri due vincoli per i PIR costituiti a partire dal primo gennaio 2019, prevedendo che il 3,5% dell’investimento totale fosse investito sul mercato AIM (indice della Borsa Italiana composto delle piccole e medie imprese italiane ad alto potenziale di crescita) ed un 3,5% in azioni o fondi di venture capital.

Pochi mesi dopo, a dicembre 2019, si è tornati indietro, con la Legge n. 157/2019 che ha di fatto eliminato la prescrizione del 3,5% del totale in venture capital italiani ed ha previsto che il 25% del 70% da investire in imprese italiane (ovvero il 17,5% del totale) sia destinato a imprese diverse da quelle inserite nel Ftse Mib. Un ulteriore 3,5% del totale deve essere investito in società diverse da quelle quotate sul Ftse Mib e sul Ftse Mid Cap.

Ora con la Legge di Bilancio 2022 è stata introdotta un’ulteriore novità, ovvero l’innalzamento del tetto massimo di investimenti che beneficia dell’esenzione sui rendimenti, passato dai 30.000 euro all’anno ai 40.000, per un totale di 200.000 euro in 5 anni.

Da non dimenticare che, dal 2021, è stata introdotta anche una nuova generazione di PIR, quelli alternativi, con soglie di investimento molto più elevate: 300.000 euro annui per un totale di 1.500.000 nei 5 anni. Per quanto riguarda la composizione, il 70% del valore complessivo deve andare, direttamente o indirettamente, in strumenti finanziari emessi da imprese italiane o con stabile organizzazione in Italia, diverse da quelle inserite negli indici Ftse Mib, Ftse Mid Cap di Borsa Italiana, in credito o in prestiti erogati alle stesse imprese. Rispetto ai PIR tradizionali, gli alternativi hanno un limite di concentrazione più alto, pari al 20%, e beneficiano del Tax Credit rispetto alle eventuali minusvalenze. Il credito d’imposta è pari al 20% dell’investimento, spalmabile su 10 anni, per i PIR alternativi avviati nel 2021, mentre sarà del 10% a partire dall’1 gennaio 2022 fino al 31 dicembre 2022, valido per 15 anni.

PIR fai da te: che succede se si commettono errori?

Come si può vedere, le regole da seguire per la corretta composizione di un PIR sono piuttosto complesse, e richiedono conoscenze finanziarie ed un costante aggiornamento rispetto ad una normativa che è particolarmente mutevole.

Oltre alla composizione del PIR in sé, bisogna considerare che l’investimento va mantenuto per almeno 5 anni se si vuole maturare il diritto a beneficiare dell’esenzione fiscale sul capital gain e sulle imposte di successione.

Si tratta di un orizzonte di medio periodo, per cui potrebbe essere utile mantenere una certa flessibilità nella gestione dell’investimento, in modo da intercettare opportunità che possono emergere nel tempo e gestire eventuali rischi. Anche in questo caso, bisogna essere certi di avere le adeguate competenze per poter operare in autonomia, perché la gestione necessita di competenze elevate dal punto di vista fiscale e finanziario.

Da una parte, dunque, costruire da sè il proprio PIR consente di risparmiare sui costi di gestione rispetto ad un Piano Individuale “preconfezionato”. Dall’altra parte, bisogna considerare il rischio di incappare in qualche errore. Se al termine dei 5 anni l’investimento non è stato conforme alle regole del PIR, al rendimento viene applicata la normale tassazione prevista per le rendite finanziarie, ovvero il 26%, un quarto del totale. Si perde, così, il vantaggio fiscale che è uno dei principali punti di forza di queste soluzioni di investimento.

Il consiglio è quindi di valutare bene il rapporto tra costi e benefici, alla luce delle proprie competenze.

L’alternativa è affidare la gestione ad un esperto (intermediario abilitato, imprese di assicurazioni), che possa costruire e gestire il PIR all’interno di un portafoglio di investimenti diversificato. Altra possibilità è la sottoscrizione di soluzioni PIR Conformi, come quote o azioni di un OICR, assicurazioni sulla vita o di capitalizzazione, che vengono gestite in modo da rispettare le normative e garantire i benefici previsti dalla normativa all’investitore.

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