Negli anni ‘80 del 1800, l’allora cancelliere tedesco Otto von Bismarck introdusse la prima forma di assicurazione sociale, destinata ai lavoratori dell’industria. Si trattava del primo basilare esempio di quello che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, divenne noto come Welfare State, o Stato sociale.
Il termine, ispirato al modello introdotto in Gran Bretagna tra il 1946 ed il 1948, indica il complesso di politiche pubbliche che uno Stato mette in atto per garantire il benessere dei cittadini all’interno di un’economia di mercato, per non lasciare scoperte le fasce di popolazione impossibilitate, per vari motivi, a lavorare e quindi a generare reddito.
Nel Welfare State rientrano, ad esempio, i supporti durante la vecchiaia, la maternità, la malattia, l’invalidità e la disoccupazione. Fanno parte inoltre servizi come la sanità, l’istruzione, le politiche per la casa e la concessione di benefici fiscali.
Ma è sufficiente la protezione pubblica rispetto alle singole esigenze?
Universalità del welfare: ancora sostenibile?
I sistemi di Welfare, condivisi in forme diverse in tutta Europa, si sono evoluti nel corso dei decenni, in linea con la ricchezza degli Stati e accompagnando i bisogni emergenti tra la popolazione.
Nella sua massima espansione, il Welfare è stato esteso all’intera collettività, indipendentemente dallo stato di bisogno: è accaduto, ad esempio, con l’accesso al sistema sanitario, universale in quanto chiunque può accedere alle cure gratuitamente o compartecipando con una quota (il ticket) calcolata in base al reddito.
Tuttavia, questo ha provocato una massiccia espansione della spesa pubblica, perché la gratuità dei servizi porta ad accrescere la domanda, determinando sprechi. Questo meccanismo ha fatto aumentare la spesa pubblica, mentre sul fronte entrate ci sono state progressivamente delle riduzioni, per effetto del rallentamento dell’economia dopo gli anni del boom economico post Seconda Guerra Mondiale.
Inoltre, il sistema di Welfare pubblico si regge se c’è un equilibrio tra i beneficiari e i contribuenti. Con l’invecchiamento progressivo della popolazione, negli anni sono aumentati i primi, ma sono diminuiti i secondi, per effetto del calo demografico.
Per questi motivi, a partire dagli anni ‘80, in tutta Europa si è assistito ad un considerevole ridimensionamento delle coperture del Welfare, che avrebbe rischiato di non esser più sostenibile.
Welfare: la copertura pubblica è sufficiente?
I vincoli di bilancio e la necessità di contenere la spesa pubblica impattano sull’importo e la durata dei contributi che arrivano dal sistema pubblico al singolo in caso di necessità, perché se le entrate calano, l’unico modo per contenere la spesa è tagliare le uscite.
Questa è la ragione per cui la maggior parte dei Paesi Europei, negli ultimi anni, ha affrontato la revisione del sistema previdenziale, per mantenere la sostenibilità dei sistemi pubblici a fronte dell’invecchiamento della popolazione.
L’ultimo rapporto dell’OCSE sulla sanità dice, ad esempio, che se i Paesi OCSE non investiranno almeno l’1,4% del PIL in più rispetto al 2019 (con variazioni tra Paesi che vanno dal +0,6% al +2,5%) per rafforzare la resilienza dei sistemi sanitari, saranno messi a rischio benessere e tenuta sociale.
In questo scenario, l’offerta pubblica, dunque, potrebbe non essere più sufficiente, soprattutto per le categorie più fragili. Tutto dipende, ovviamente, dalle aspettative ed esigenze di ciascuno, ma, in linea di massima, la gestione dei risparmi attraverso strumenti come le polizze vita può consentire di integrare la copertura pubblica con risorse private e soluzioni ad hoc, soprattutto in caso di patologie particolarmente complesse.
1. “Ready for the Next Crisis? Investing in Health System Resilience”, OECD, 23 febbraio 2023