In ambito finanziario, il rischio è un elemento caratterizzante, addirittura costitutivo degli investimenti, perché è strettamente legato al rendimento, che è l’obiettivo ultimo di chi sceglie di investire. Si può dire, anzi, che rischio e rendimento siano le due facce della stessa medaglia1: se uno cresce, aumenta anche l’altro, e viceversa.
Esistono, tuttavia, diverse tipologie di rischi, che si possono ricondurre a due macro-categorie.
Il rischio specifico dipende dalle caratteristiche peculiari dell’emittente ed è più propriamente legato al rendimento.
C’è poi il rischio sistematico, che dipende dalle fluttuazioni del mercato, a sua volta influenzato da variabili esogene, cioè che si sviluppano fuori dall’ambito finanziario.
L’evoluzione degli scenari economici e geopolitici influenza da sempre le attività finanziarie e industriali. La storia è ricca di esempi di come eventi non finanziari impattino su quelli finanziari. Pensiamo all’impatto (negativo) dell’11 settembre del 2001 sulle Borse o l’impatto positivo avuto da un evento sportivo come la vittoria degli Europei da parte dell’Italia sull’economia2.
Nell’ambito del rischio sistemico rientra anche il cosiddetto “rischio Paese”, che, secondo una delle definizioni più accreditate, elaborata dall’economista Duncan Meldrum3, è “l’insieme dei rischi che non si sostengono se si effettuano delle transazioni nel mercato domestico, ma che emergono nel momento in cui si effettua un investimento in un paese estero. Tali rischi sono maggiormente imputabili alle differenze di tipo politico, economico e sociale esistenti tra il paese d’origine dell’investitore ed il paese in cui viene effettuato l’investimento”.
Gli elementi del rischio Paese
Sono numerose e diverse le variabili che possono determinare il rischio Paese in ambito finanziario. Seguendo la classificazione fatta dallo stesso Meldrum, si possono individuare sei elementi: sovrano, politico, economico, di trasferimento, di cambio, di posizione.
Un elemento è il “rischio sovrano”, che riguarda la capacità o la volontà del debitore sovrano (lo Stato) di onorare i propri impegni di pagamento. Questa capacità ha a che fare con la disponibilità effettiva di risorse, ma anche con la reputazione e la presenza di precedenti ristrutturazioni del debito del Governo in questione.
C’è poi il “rischio politico”, che comprende tutta quella gamma di eventi non economici legati a fattori politici e di instabilità, governabilità, inclusione. In questo ambito rientrano conflitti, ma anche vulnerabilità delle politiche economiche, laddove ci siano cambi repentini di direzione che portino, ad esempio, a espropri e nazionalizzazioni in base a mutamenti istituzionali e atti unilaterali del Governo.
Il “rischio economico” si riferisce invece più specificatamente alle decisioni economiche del Paese che influiscono sui tassi di crescita, sul grado di apertura dell’economia, sugli scambi e sulla competitività delle imprese.
Da valutare anche il “rischio di trasferimento” connesso alle decisioni delle autorità di adottare restrizioni sui movimenti di capitali, sul rimpatrio di dividendi e profitti. Questo è strettamente collegato al rischio sovrano, perché quando uno Stato necessita di riserve valutarie può decidere unilateralmente di adottare restrizioni riguardanti i pagamenti verso l’estero.
Si parla, poi, di “rischio di cambio” nel caso di fluttuazioni inaspettate dei tassi di cambio e al passaggio da un regime a un altro, ad esempio, in seguito all’abbandono di un cambio fisso.
Infine, c’è il “rischio di posizione”, che concerne il “contagio” dovuto alla vicinanza a economie vicine o considerate simili per le loro tipicità o vulnerabilità.
Il rischio Paese nei PIR
Normalmente il rischio Paese viene valutato quando si effettuano investimenti all’estero, per cui è necessario conoscere anche la stabilità dello Stato in cui sono presenti gli asset destinatari degli investimenti.
Tuttavia, anche nel caso dei PIR, Piani Individuali di Risparmio, il “rischio Paese” assume un ruolo specifico molto importante per gli investitori italiani. Per loro stessa natura, infatti, i Piani Individuali di Risparmio sono strettamente legati all’economia italiana, e, di conseguenza, a qualunque fattore possa impattare su di essa.
Nati per mettere in collegamento risparmio privato e tessuto imprenditoriale, i PIR richiedono che il 70% del capitale sia destinato a realtà che operano in Italia, concentrando di fatto in un unico Paese la maggior parte dell’investimento.
Per questo il “rischio Paese” rappresenta un elemento molto importante per i PIR. Ma c’è un “rischio Italia”? Senza la pretesa di fare un’analisi esaustiva, vista la numerosità e complessità delle variabili in gioco, si possono fare almeno due considerazioni.
Se è vero che il Paese ha una sua autonomia, è altrettanto vero che, in quanto parte dell’Unione Europea e della Comunità Europa, l’Italia, come tutti gli altri Stati Membri, è ampiamente inserita in un contesto geografico più ampio, che condiziona scelte economiche e politiche e garantisce una certa stabilità. Pensiamo, ad esempio, al “rischio valutario”: la politica monetaria è ormai di fatto sottratta alle decisioni dei singoli Paesi perché definita dalle autorità bancarie europee.
Stesso dicasi per il “rischio sovrano”: prima che uno Stato europeo vada in default, è molto probabile un intervento dell’Europa, e questo rappresenta una garanzia per gli investitori.
La seconda considerazione riguarda la composizione stessa dei PIR. Se è vero che la concentrazione in unico Paese non va nella direzione della diversificazione geografica, restano tuttavia ulteriori forme di diversificazione che possono essere applicate.
Le stesse regole previste dal legislatore comprendono il limite di concentrazione, che impone di non investire più del 10% su un unico emittente (20% nei PIR alternativi). Sul totale dell’investimento, inoltre, il 30% può andare a strumenti diversi da quelli emessi dalle imprese italiane, compresa la liquidità. La diversificazione, inoltre, può essere effettuata ulteriormente costruendo un portafoglio di investimento di cui il PIR o la soluzione PIR-Conforme sia uno degli strumenti di investimento, insieme ad altri che possono garantire la diversificazione geografica.
PIR, le opportunità dell’economia reale
Preso atto che il “rischio Paese” può essere mitigato, è utile valutare quali opportunità possono arrivare dall’economia reale italiana.
I dati, in questo senso, sono molto positivi. Nonostante COVID, infatti, l’economia italiana negli ultimi mesi ha registrato una crescita che non si vedeva da anni. Il settore produttivo, fatto al 98% da Piccole e Medie Imprese, ha registrato numeri record nella produzione, non solo rispetto al 2020, ma anche rispetto al 2019, pre-Covid.
L’Istat4 ha indicato una crescita del +6,3% del PIL nel 2021 e del +4,7% nel 2022. Secondo l’Istituto di Statistica Italiano, “l’aumento del Pil sarà determinato prevalentemente dal contributo della domanda interna al netto delle scorte (rispettivamente +6,0 e +4,4 punti percentuali nei due anni) a cui si assocerebbe un apporto più contenuto della domanda estera netta (+0,3 punti percentuali in entrambi gli anni)”.
Settori strategici hanno registrato crescite record. La manifattura, ad esempio, a novembre ha raggiunto un nuovo massimo storico5, con un balzo a 62,8 punti dai 61,7 di ottobre dell’indice Ihs Markit, confermando l’industria italiana alla guida della ripresa. Tra gli altri Paesi europei soltanto la Francia tiene il passo, con l’indicatore che sale a 55,9 punti, al massimo da 3 mesi.
Uno scenario che dovrebbe essere ulteriormente migliorato grazie al PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, orientato a promuovere interventi strutturali per la digitalizzazione, sostenibilità ed internazionalizzazione delle imprese. Il PNRR avrà un impatto significativo sulla crescita economica e della produttività: secondo il Governo, nel 2026 il Pil sarà di 3,6 punti percentuali più alto rispetto a uno scenario di base che non include l’introduzione del Piano6.
Le incognite restano, per l’Italia come per gli altri Paesi, per effetto della pandemia stessa e di variabili esogene, come l’andamento dei prezzi dell’energia. A favore dell’Italia c’è la mole di risparmio privato7 che rende sostenibile la solvibilità dello Stato.
Tutti questi elementi determinano un contesto di stabilità e di opportunità per gli investitori, che i PIR e le soluzioni PIR-Conformi possono cogliere.
1. “Rischio e rendimento”, Consob
2. Micaela Cappellini, “La vittoria agli Europei vale +0,7% del Pil e +10% dell’export”, Il Sole 24 Ore, 12 luglio 2021
3. Duncan H. Meldrum, “Country risk and foreign direct investment”, EconBiz
4. “Le prospettive per l’economia italiana nel 2021-2022”, Istat
5. “Il nuovo record per la manifattura italiana”, AGI, 1 dicembre 2021
6. “Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)”, MEF, 25 maggio 2021
7. Andrea Carli, “L’economia italiana rallenta a fine anno ma i risparmi sostengono la crescita”, Il Sole 24 Ore, 29 dicembre 2021